Cappellacci

Nel ferrarese i tortelli di zucca vengono chiamati, con un termine dialettale, cappellacci. Alcuni sostengono che questo termine abbia origine in riferimento alla forma del prodotto, vagamente somigliante a quella del cappello di paglia dei contadini ferraresi, chiamati per l’appunto cappellacci, caplaz in dialetto ferrarese.
I primi cenni storici ai cappellacci di zucca risalgono all’anno Mille.
Nel 1584 viene pubblicato a Ferrara “Dello Scalco”, il ricettario di Giovan Battista Rossetti, cuoco presso la corte del duca Alfonso II d’Este. In questo testo troviamo i primi riferimenti ai “tortelli di zucca con il butirro”, molto simili agli attuali se non per l’aggiunta dello zenzero, particolarmente diffuso all’epoca.
 
Il trattato del Rossetti fornisce ampia testimonianza del rilievo assunto dalla zucca nei banchetti e nelle cene della Corte Estense . Infatti non solo è l’ingrediente fondamentale per il ripieno dei cappellacci, ma compare in numerosi piatti come,  e solo per citare un esempio, l’arrosto di cappone coperto di medaglioni di zucca. I caplaz, questo il nome in dialetto locale, pertanto sono un cibo di Corte.
 
Del resto il connubio fra dolce e salato di cui i cappellacci sono un vero e proprio emblema è dominante nella cucina cinquecentesca. Il più importante trattato culinario del XVI secolo scritto da Bartolomeo Scappi “cuoco secreto” di Papa Pio V e intitolato “Opera” conferma l’abitudine di addolcire e zuccherare i cibi salati e di sapore forte.
 
Questo gioco di contrasti dolce-salato si sviluppa successivamente in grande tradizione ferrarese, infatti pur partendo dall’accompagnamento con burro, l’evoluzione del modo più tradizionale di mangiare i cappellacci è con un ragù di carne ed una bella spolverata di parmigiano reggiano, perché in questo modo si esalta maggiormente l’accostamento tra ripieno di zucca, dolce ma non troppo, ed il salato del condimento di carne e formaggio.

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